venerdì 13 aprile 2007

Luca Moretti - un talento emergente

Ne di destra, ne di sinistra, ne a favore ne contro, copio qui un
racconto scritto da chi secondo me è uno dei più bravi talenti del momento, Luca Moretti, scritto su Terranullius, atelier di scritture a sorgente libera, come amano definirsi loro.



IN MORTE DI GAETANO ALIMONDA - Luca Moretti

Io il 20 luglio non c’ero. Ero altrove. Avevo deciso di non esserci. Ancora non avevo pensato a quel venti luglio che il Gustav stendeva già tre botte.
A noi il venti luglio ci faceva sorridere, eravamo troppo impegnati a nutrire le nostre scimmie. Al Gustav poi, del 20 luglio non importava proprio, troppe guardie, troppa gente, troppi limiti.

Avevamo preso il treno che gli occhi erano già tramontati da un pezzo, astute signore coprivano piccoli orsacchiotti inermi dalla calura romana, il Gustav ne fece un paio prima di arrivare alla stazione centrale, solo un paio per gradire.
Alla stazione tutto era muto, avevo due lastre che premevano da un punto indefinito sulle mie tempie, forte e indolore, soda caustica, un silenzio d’ovatta. Il Gustav barcollava sulle gambe, il tip tap degli innamorati lo chiamava; inciampò sul secondo gradino, fummo dentro e Alexia non aveva ancora spiccicato parola. Il treno partiva con la solita fila per andare a pisciare, il Gustav chiuso dentro dava grandi tirate, io guardavo Alexia, lei non parlava, si stava addormentando.
Io il 20 luglio non c’ero, troppi container, troppe urla e manifesti, poca libertà d’espressione, una folla di mentecatti variopinti. Il venti luglio me ne andavo per altre strade, per altre proteste, il venti luglio gridavo al mondo la mia estraneità masturbando il cervello con delle giostrine di plastica. Alexia dormiva mentre il Gustav occupava il bagno per la terza volta, era uno stanziale, la gente l’aveva capito, non ci faceva più caso. Tiravamo che era un piacere, la notte passava, giuravo a me stesso che era l’ultima e le stelle accompagnavano una quiete indescrivibile.
Io il 20 luglio non c’ero, stavo chiuso al Bagno col Gustav a Ventimiglia. Attendevo il primo minuto di questo nuovo giorno e pensavo ad Alexia, al suo domani, a quello che sarebbe stato. Tiravo e facevo delle belle promesse, costruivo grattacieli di sabbia; guardavo il Gustav e pensavo al tip tap, alle sue gambe snodate, al suo 20 luglio. Il Gustav era un maestro, aveva falsificato i biglietti del treno, la tratta Milano-Lugano era diventata Roma-Berlino, srotolava il suo sacchetto con le mani lunghe e aguzze, ne riponeva il contenuto sulla mensola del bagno, stendeva con dovizia.Il Gustav non faceva errori.
Io il 20 luglio non c’ero, avevo passato la notte a tirare e non avevo scambiato parola con Alexia, il mio viaggio era stato muto, muto con lei, muto con il controllore, muto col Gustav, ma con lui ci si esprimeva a gesti. Il venti luglio pensavo a Shelly, la immaginavo sdraiata in balcone, soffocata dal caldo estivo, le chiedevo di non morire mai. La notte si era fatta gelida, piccole goccioline di sudore si bloccavano sul collo e, indecise sul percorso da intraprendere, spingevano sulle ossa fendendo i nervi. La notte si era fatta gelida, Gustav aveva smesso di ballare e Alexia aveva aperto gli occhi.
Io il 20 luglio non c’ero, molti amici avevano preso una strada diversa dalla mia, ma io no, io avevo rifiutato il mucchio, non mi avrebbero mai fregato, io avevo un pit bull sul balcone, un lungo tatuaggio sul braccio ancora da finire e Alexia che prima o poi si sarebbe svegliata. Io non ci credevo a quei caroselli, a quella gente che racconta una storia scritta sempre da un’altra parte, io scrivevo il mio poema e a loro lasciavo le briciole degli slogan. Il mio 20 luglio si riempiva di polveri e chimica, cercava il disordine, non distruggeva per ricostruire, distruggeva e basta, era una rivoluzione masturbata, con essa non si voleva creare un mondo migliore o un futuro sereno, con essa si voleva solo dimenticare, disorganizzare, disorientare. La mattina picchiava dura sul vetro e noi non avevamo chiuso occhio, viaggiavamo sicuri verso il nostro 20 luglio, nessuno ci avrebbe potuto fermare. Alexia sospirava.
Io il 20 luglio non c’ero, avevo raggiunto il più grande rave europeo con un biglietto falsificato delle FS, mi ero immerso nella schiuma della birra tedesca e nello smog dei carri. Io il 20 luglio gridavo la mia protesta con un fischietto in bocca. Ancora non era giunta l’ora di pranzo che avevo già inghiottito a sufficienza, la musica saliva d’intensità e i confini di quel luogo si allontanavano, perdevo l’orientamento, Alexia era scomparsa.
Io il 20 luglio non c’ero.
Impalato sotto un pioppo, cercavo di tornare alla realtà, giravo una piantina della città senza via d’orientamento. Io il 20 luglio mi ero perso, il Gustav era andato a ballare il tip tap con i suoi amici, Alexia era scomparsa e la musica impazzava. Vomitai a lungo, cercavo di sputare via tutto quel disordine, la rivoluzione cominciava a nausearmi, la testa girava forte. Pensavo ad Alexia, ai suoi silenzi e al tip tap del Gustav, a tutto quello che non ero riuscito a raccontargli, al grande disordine ruminato, al disordine che avevo portato anche nella sua vita, cominciavo a capire il motivo della sua scomparsa. Ero solo.
Io il 20 luglio non c’ero, probabilmente neanche il giorno seguente, ma che importa. Il sole era alto e io sempre sotto quel pioppo. Un giornale sotto i miei piedi. La festa era finita, non c’era più nessuno, il traffico aveva ricominciato a scorrere tra mille immondizie. Quel silenzio mi dava fastidio. Sfogliai il giornale per distendere i nervi, guardai la prima pagina, un esile ragazzo a terra, la faccia, coperta da un passamontagna, immersa in un lago di sangue.
La festa era finita.
Io il 20 luglio non c’ero, tu sì, ma questo fa poca differenza, la festa è finita ovunque.

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